L’Ordo Partis Guelfae, ovvero l’Ordine dei Cavalieri di Parte Guelfa di Firenze, istituito da Papa Clemente IV nel 1266, soppresso con motuproprio granducale di Pietro Leopoldo I di Toscana del 22 giugno 1769 e ricostituito nel 2015, proprio il 25 Marzo, giorno della celebrazione della festività dell’antico Capodanno Fiorentino, in virtù dell’antico possesso di stato giuridico in Firenze quale più importante tra le magistrature della Repubblica di Firenze con l’approvazione del sindaco Dario Nardella. La città di Firenze, e l’Arciconfraternita della Parte Guelfa, sono sempre state molto attente a celebrare, mantenere e mettere in risalto le tradizioni che fanno parte della storia fiorentina: feste simboliche che un tempo scandivano i giorni dell’anno.

Il 25 Marzo è anche il Dantedì, la giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta Dante Alighieri (1265-1321). La ricorrenza è stata istituita dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura, Dario Franceschini, nel 2020. La scelta del giorno non è casuale: il 25 marzo è la data che i dantisti riconoscono come l’inizio del viaggio nell’aldilà descritto letterariamente nella “Divina Commedia”. Quest’anno il Dantedì ha una valenza simbolica ancora maggiore, perché cade in occasione del settimo centenario della morte del padre della lingua italiana, che in tutta Italia, per tutto il 2021, viene celebrato con centinaia di eventi.

Gli antichi romani per molti secoli, per contare i giorni, usavano un calendario lunare chiamato Romolo. Questi divideva l’anno in dieci mesi, facendolo iniziare a marzo, con l’ arrivo della stagione primaverile. Fu Giulio Cesare a voler usare un calendario solare annuale di 365 giorni, ogni quattro anni vi era un anno con un giorno in più, e i mesi erano suddivisi in dodici. Un calendario quasi uguale a quello di oggi, ma non identico. L’inizio del nuovo anno era festeggiato tra gennaio e marzo, a seconda dei luoghi. Anche il successivo calendario Giuliano si rivelò impreciso, accumulando un ritardo di ventiquattro ore ogni centoventotto anni, tanto che nel 1582 il ritardo era divenuto di ben dieci giorni. Non solo tutto ciò creava problemi civili, ma anche di religione al Vaticano, il quale non riusciva a fissare la data esatta per la celebrazione della Pasqua. Gli obiettivi della riforma erano: la correzione dei calcoli relativi all’Equinozio di Primavera in modo che la Pasqua coincidesse con quanto era stato stabilito nel Concilio di Nicea. La celebrazione deve avvenire sempre di domenica, e deve essere successiva alla prima luna piena che segue l’equinozio di primavera del 21 marzo. Ne consegue che deve essere sempre compresa tra il 22 di marzo e il 25 di aprile. La motivazione scaturiva anche per fare in modo che i racconti della Settimana Santa, relativi al miracolo dell’Eclisse non fossero contraddetti dall’astronomia.

Parte Guelfa stemma legno su telo angioinoIl nuovo calendario doveva essere abbastanza semplice nella sua esposizione, per poter esser compreso, e usato da tutti. La riforma, fu preceduta da una importante azione svolta da Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, grazie all’essere divenuto pontefice nel 1513, con il nome di Leone X. Il Papa fiorentino che mirava all’avvicinamento di tutte le potenze europee, volle istituire una commissione di esperti per studiare un calendario universale che mettesse ordine nello svolgimento della vita civile dei vari popoli. L’intento era eliminare la confusione di date e di tempi che portava sfasamento anche ai fini amministrativi e commerciali. Pertanto inviò in data 8 luglio 1516 a tutti i capi di Stato una lettera nella quale trattava la questione. Nella città di Firenze si ebbe esposto un bando della lettera ufficiale di Papa Leone X, facendola affiggere nelle più importanti strade della città. Passarono gli anni, si arrivò ad una nuova Commissione per il Calendario, convocata da papa Gregorio XIII nel 1575. Ma la concreta svolta si ebbe nell’ottobre del 1582. Quando il mondo ebbe un salto temporale vero e proprio; si decise che il 4 ottobre 1582 le persone andassero a dormire e si risvegliassero il giorno seguente con la data di venerdì 15 ottobre 1582; in una sola notte, 10 giorni furono completamente “cancellati” dalla storia. In città si volle fortemente mantenere la tradizione di continuare ad iniziare l’anno civile il venticinque di marzo; il giorno dell’Annunziata.

La festa era religiosa ed anche civile, un giorno primaverile durante il quale una gran folla, sia cittadina che del contado, si recava in pellegrinaggio alla Basilica della Santissima Annunziata per venerare la miracolosa immagine in affresco dell’Annunciazione (ignoto toscano; XIV secolo), il cui sacro volto della Vergine, secondo una antica leggenda, fu dipinto dagli angeli. Si celebrava una grande festa Cristica e mariana, quella dell’Annunciazione coincidente con l’Incarnazione, cioè con il momento nel quale il corpo di Gesù, esattamente nove mesi prima di Natale, assunse il primo istante di vita nel seno della Vergine Maria. La devozione della città di Firenze alla Vergine Maria è molto importante per rappresentare il culto Mariano. Nello stemma di Firenze viene simboleggiata la devozione alla Vergine con il fiore del giglio. Fin dai tempi arcaici, il fiore conosciuto anche con il nome di Lilium candidum, (d’origine Siriana e Palestinese), è stato considerato come simbolo di generazione e fecondità. Plinio il Vecchio, lo ricorda nei suoi scritti descrivendolo nei minimi dettagli e sottolineando la capacità di fecondazione della sua radice, riuscendo a produrre fino a cinquanta bulbi da un rizoma. Quale miglior simbolo quindi, se non il giglio, per la fecondità e la generazione, da essere associato al culto delle Grandi Madri. All’episodio dell’Annunciazione si riconduce anche una tradizione festiva che risale, secondo l’attestazione delle fonti, al XV secolo: raccontando una rappresentazione che veniva annualmente allestita, di solito il lunedì in albis e non il 25 marzo per non interferire con le funzioni quaresimali, nella chiesa camaldolese di San Felice in Piazza dalla confraternita di Santa Maria Annunziata e laudesi della Nostra Donna detta in seguito dell’Orciuolo. Lo spettacolo, che si racconta fin dal cinquecento, aveva la caratteristica di ‘festa’, durante la quale veniva fatto un allestimento scenico complesso, arricchito da soluzioni di illuminotecnica e musicali di grande effetto, che visualizzava l’immagine del Paradiso, collocato sulle capriate del tetto della chiesa, e il collegamento fra questo e la dimora della Vergine, posta su un palco di legno innalzato al centro della navata, tramite un dispositivo ascensionale a forma di mandorla. (La più completa descrizione di questo complesso “spettacolo” è raccontata da Giorgio Vasari nella Vita del Brunelleschi). All’uscita della basilica, a conclusione delle celebrazioni del capodanno, per la gioia di “un gran numero di persone venute da lontano”, i padri Serviti, la Signoria e, in seguito, i Granduchi facevano eseguire “bellissime musiche con gli organi celestiali”. che era per i fiorentini festa civile, religiosa e primaverile. Le celebrazioni in Firenze per il Capodanno, continuarono anche nelle più antiche tradizioni. In via dei Calzaiuoli vi sono due chiese frontali, due costruzioni che condividono la progettazione da parte degli stessi architetti, Orsanmichele e San Carlo, entrambe dedicate a San Michele Arcangelo, entrambe legate alla Vergine Maria. L’immagine di San Michele Arcangelo e della Madonna furono dipinti sui pilastri della chiesa di OrsanMichele. E fu da quel momento che in città si ebbero molti miracoli ancora tramandati dai racconti dei tempi. . I fiorentini iniziarono ad offrire doni per le grazie ricevute e i capitani di Or San Michele, utilizzarono le donazioni per aiutare i bisognosi della città. Il 10 luglio del 1304 il loggiato di Orsanmichele fu distrutto da un tremendo incendio. Anche l’immagine miracolosa della Madonna fu distrutta tra le fiamme. Il successo economico di Firenze era considerato un miracolo, che dipendeva dall’industria della lana, dalle banche e dalle case mercantili. Furono tutti uniti per affiancarsi al Comune della città, e ricostruire Orsanmichele,, attribuendo un pilastro ad ognuno delle 21 corporazioni presenti in città. Praticamente si dette origine ad uno dei primi atti al mondo di sponsorizzazione. Al di sopra del mercato, sostenuto dai massicci pilastri in pietra, vennero realizzati due piani da utilizzare come depositi per il grano. Un tabernacolo in pietra, marmo e bronzo venne costruito per racchiudere il bellissimo dipinto della “Madonna delle Grazie” di Bernardo Daddi. Nel 1266 Brunetto Latini, inviato come ambasciatore da Firenze scrisse alcune pagine del Libro di Montaperti, nei quali descriveva i miracoli della Vergine custodita in un tabernacolo, (attualmente custodito presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Il 3 luglio del 1292 Guido Cavalcanti scrisse un poema raccontando i miracoli della Vergine del Tabernacolo. Giovanni Villani, scriverà e tramanderà:

“De miracoli che apparirono in Firenze per santa Maria d’ Orto san Michele: nel detto anno a di 3 del mese di Luglio,si cominciarono a mostrare grandi e aperti miracoli nella città di Firenze per una figura dipinta di santa Maria in uno pilastro della loggia d’Orto san Michele, ove si vende il grano, sanando infermi, e rizzando attratti, e isgombrare imperversati visibilemente in grande quantità. Ma i frati predicatori e ancora i minori per invidia o per altra cagione non vi davano fede, onde caddono in grande infamia de’Fiorentini. In quello luogo d’Orto san Michele si truova che fu anticamente la chiesa di san Michele in Orto, la quale era sotto la badia di Nonantola in Lombardia, e fu disfatta per farvi piazza; ma per usanza e devozione alla detta figura, ogni sera per laici si cantavano laude; e crebbe tanto la fama de’ detti miracoli e meriti di nostra Donna, che di tutta Toscana vi venia la gente in peregrinaggio per le feste di santa Maria, recando diverse imagine di cera per miracoli fatti, onde grande parte della loggia dinanzi e intorno alla detta figura s’ empie , e crebbe tanto lo stato di quella compagnia, ov’erano buona parte della migliore gente di Firenze, che molti beneficii e limosine, per offerere e lasci fatti, ne seguirono a’ poveri 1′ anno piu di seimila libbre; e seguesi a’ di nostri, sanza acquistare nulla possessione, con troppo maggiore entrata; distribuendosi tutta a’ poveri”

L’avvenimento dell’adesione al calendario Gregoriano fu considerato eccezionale e rivoluzionario nella tranquilla Firenze di quel tempo. Una città che amava ovattarsi nelle abitudini assimilate, e che avrebbe dovuto abbandonare la consuetudine di festeggiare il proprio “Capodanno fiorentino”. Per celebrare questo importante passaggio, fu posta una iscrizione marmorea sotto la Loggia dei Lanzi, la lapide, affissa per volontà del granduca Francesco Stefano di Lorena e dettata da Giovanni Lami, a celebrazione di questo evento ci ricorda che:

IMP. CAES. FRANCISCUS PIUS FELIX AUG.
LOTHARINGIAE BARRI ET MAGNUS ETRURIAE DUX
BONO REIP. NATUS CUSTOS LIBERTATIS
AMPLIFICATOR PACIS CONCORDIAE VINDEX
SAECULI RESTITUTOR
HUMANAE SALUTIS EPOCHAM ANNOSQ. AB TUSCIAE
POPULIS DIVERSO INITIO COMPUTARI SOLITOS
AD OMNEM CONFUSIONEM ET DISCERNENDAE
AETATIS DIFFICULTATEM AMOLIENDAM UNA EADEMQ.
FORMA ET COMMUNIBUS AUSPICIS AB UNIVERSIS
LEGE LATA XII KL. DECEMBREIS ANNO MDCCXXXXVIIII
INCHOARI ITA IUSSIT UT NON QUEMADMODUM PRAETER
ROMANI IMPERI MOREM HACTENUS SERVATUM
FUERAT SED VERTENTE ANNO MDCCL AC DEINCEPS
IN PERPETUUM KALENDAE IANUARIAE QUAE NOVUM
ANNUM APERIUNT CETERIS GENTIBUS UNANIMI ETIAM
TUSCORUM IN CONSIGNANDIS TEMPORIBUS CONSENSIONE
CELEBRARENTUR.

L’Imperatore Cesare Francesco, Pio, Fortunato, Augusto, Duca di Lorena e Bar e Granduca di Toscana, nato per il benessere della collettività, guardiano della libertà, amplificatore della pace, difensore della concordia, salvatore del mondo; allo scopo di evitare ogni confusione e difficoltà nel discernere il tempo ha comandato, con legge del 20 novembre del 1749, che l’epoca e gli anni della salvezza dell’uomo, che solevano essere conteggiati dalle popolazioni toscane a partire da diversi giorni, vengano da tutti fatti iniziare in un unico e identico modo, così che che non venga più osservato il precedente costume, contrario a quello dell’Impero Romano, ma che a partire dal prossimo anno 1750 e in perpetuo, il primo gennaio che segna l’inizio del nuovo anno presso gli altri popoli, venga celebrato e usato nel conteggio del tempo anche col consenso del popolo toscano.

 

Autore

Elena Tempestini