Ogni 30 Ottobre Parte Guelfa festeggia l’Arma di Cavalleria facendo memoria della battaglia di Pozzuolo del Friuli, combattuta il 30 ottobre 1917, primo decisivo momento di reazione seguito alla disfatta di Caporetto, ove si tennero degli straordinari assalti di cavalleria dei reggimenti Genova e Novara in tempi in cui ormai si combatteva e si moriva nelle trincee. I popoli piú civili dimostrano di curare la memoria storica, coltivano la conoscenza del passato e onorano gli uomini che hanno compiuto atti di valore e di dedizione verso il bene comune. Diffonderne la conoscenza è dunque un’espressione di civiltà e, nel celebrare il sacrificio dell’Arma di Cavalleria nella Grande Guerra, Parte Guelfa desidera ricordare i caduti di tutte le guerre ribadendo la speranza di un futuro di pace imprescindibile dal rispetto delle regole democratiche e dall’affermazione dei diritti umani.

Nel trauma di un esercito sconfitto e in ritirata per l’inaffidabilità delle classi popolari, semianalfabete e non patriottiche, le cariche a cavallo con le sciabole sguainate dell’unico corpo militare composto esclusivamente da membri della nobiltà, della borghesia e della possidenza terriera, accomunati dalla fedeltà alla monarchia rappresentano la riaffermazione del ruolo dell’élite. Nella “nuova” guerra di massa e di materiali il ruolo della cavalleria era venuto improvvisamente a scomparire. In Italia, l’addestramento dei cavalieri era superiore a quello della fanteria, solo che, per uno di quei paradossi che la storia genera, i combattenti più addestrati e con maggiore spirito patriottico avevano alla fin fine combattuto di meno di quei fanti contadini che per oltre due anni erano andati all’attacco allo scoperto, in salita, in inferiorità di fuoco, di tattica e di addestramento. In altre parole: i fanti avevano superato in virtù di coraggio, tenacia e resistenza le élite “cavaliere” che avevano avuto pochi caduti, nessuna importante azione militare anche rispetto ad altre truppe scelte come i granatieri di Sardegna e gli alpini, che avevano pagato un prezzo altissimo alla loro fama. Ecco quindi la valenza simbolica che assunse la battaglia di Pozzuolo. Caso unico in quella guerra di massa, vi combatterono i rampolli di tre antiche casate principesche: Chigi, Gonzaga e Rospigliosi Pallavicini, che vi morí, di una dozzina di famiglie marchionali, comitali e di nobiltà cittadina. A essi andò un numero elevato di medaglie d’oro: Ettore Lajolo, Carlo Castelnovo delle Lanze e in seguito Elia Rossi Passavanti, in rapporto alla durata del combattimento e all’esiguità dei combattenti coinvolti. Le medaglie d’oro da Caporetto – 24 ottobre – al Piave – 10 novembre – furono quindici, di queste ben sei furono guadagnate in quel 30 ottobre 1917 tra Pozzuolo e Codroipo, per non parlare delle oltre ottanta d’argento. In poco piú di 24 ore ci fu una concentrazione di azioni valorose compiute da cittadini soldati di cui pochissimi italiani d’oggi conoscevano l’esistenza. Pozzuolo, Mortegliano, Flambro, Orgnano, Carpeneto, Sclaunicco, Nespoledo, Villacaccia, Galleriano, Pozzecco, Zompicchia, Rivolto, Codroipo, Goricizza, i ponti della Delizia, furono altrettanti campi di battaglia ove i trecento mila italiani che si ritiravano per mettersi al riparo dietro il Tagliamento si aprirono la strada, paese per paese, sotto gli attacchi di quattro divisioni d’assalto tedesche e due austro ungariche. Quel 30 ottobre i soldati italiani, pur in ritirata, seppero reagire e combatterono con grande valore permettendo il salavataggio di’intera armata.

 

Autore

Andrea Caludio Galluzzo