In questo ultimo mese siamo stati sommersi da immagini terribili di persone che fuggono dalla guerra. Immagini di donne con i loro bambini in strade colpite dalle bombe, di uomini costretti ad abbandonare la propria terra nativa con pochi effetti personali, lasciando gli affetti e il cuore in un territorio distrutto e con la paura, unica compagna di viaggio, di un futuro pieno di incognite. Con l’angoscia di rivedere quelle terre chissà quando. Chissà come. Nonostante la guerra sia uno dei maggiori motivi di perdita di contatto con le proprie origini, non è, purtroppo, la sola. Esiste una forma meno conosciuta ma non meno insidiosa di ritirata che accompagna la storia del nostro Pianeta e del suo popolo, l’inesplorato mondo dei migranti ambientali. Di quelle persone che si ritrovano costrette ad abbandonare i luoghi di nascita o di abituale vita, a causa di disastri ambientali o climatici. I dati relativi a questo fenomeno, spesso ignoti ai più, non sono certo confortanti ed evidenziano una realtà tanto difficile quanto, purtroppo, indicativa della seria situazione in cui versa la nostra Madre Terra.

Secondo il report Global Trends dell’UNHCR, infatti, nel 2020, 82,4 milioni di persone (di cui il 42% sono minori) sono state costrette a migrare, numero quasi raddoppiato rispetto a quello indicato per il 2010 (poco meno di 40 milioni), e aumentato del 16,4% anche solo rispetto al 2018 (70,8 milioni nel 2018)1 (Global Trends: Forced Displacement in 2020, UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), 2021). E nonostante queste statistiche così drammatiche, ad oggi ancora non esiste un effettivo controllo sulla reale situazione, mancando, a livello di legislazione internazionale, il riconoscimento della figura propria del migrante ambientale. Nonostante la formulazione di definizioni puntuali, a tutt’oggi non si rinviene nell’ordinamento internazionale una tipizzazione del fenomeno della migrazione per motivi ambientali, con la conseguenza che i migranti di questo tipo scontano, ogni volta che attraversano le frontiere, la più assoluta incertezza giuridica. Le definizioni esistono e sono molteplici, a conferma dell’esistenza di diverse forme di migrazione climatica, ma che di fatto rappresentano definizioni di carattere dottrinale. Manca sul piano fattivo
una tutela giuridica. Lacuna questa indubbiamente da colmare con gli opportuni strumenti che possano dare una maggiore forma di tutela e di vigilanza ad un problema così grande. Il quadro sembra fortunatamente invece più chiaro per quanto riguarda una sottocategoria, quella degli sfollati interni, ovvero di coloro che sono costretti a spostarsi, sempre per i motivi sopra indicati, all’interno di un determinato confine nazionale. In questi casi le cause più diffuse sono terremoti, inondazioni e simili. Da questo scenario deriva la necessità di una tutela ambientale ancora più specifica su larga scala ed ancora più effettiva, poiché è chiaro che i danni che subisce il nostro Pianeta si riflettono inesorabilmente non solo sulla nostra salute, ma anche e soprattutto sulle nostre vite.

La crisi climatica in atto deve rappresentare un punto di partenza per la ricerca e l’applicazione di strumenti idonei a migliorare il nostro modo di vivere e ridurre al minimo i pericoli ed i danni per la nostra Madre Terra. E di conseguenza per le nostre vite, quelle dei nostri figli e dei futuri popoli del Mondo.

 

Autore

Sara Salti