La festa di Sant’Anna è una delle ricorrenze riconosciute dal Comune di Firenze e ancora oggi celebrata. La festa, molto conosciuta dai fiorentini, è legata alla recuperata libertà da parte di Firenze dopo la rinuncia di Gualtieri di Brienne del titolo di signore. l’importanza di questa festa la ritroviamo nella cronica di Giovanni Villani: “S’ordinò per lo Comune, che lla festa di Santa Anna si guardasse come Pasqua sempre in Firenze”. Come affermato la solennità è conosciuta dai fiorentini, ma la cosa curiosa è che pochi conoscono i come sono accaduti i fatti che hanno portato a festeggiare questa ricorrenza. Il perché di ciò va ricercato in una piccola curiosità. La storia del duca di Atene e della sua “tirannia” è così conosciuta a Firenze che si tramanda di bocca in bocca, ma, come spesso accade per i fatti che passano di generazione in generazione per via orale, si è ingigantita e cambiata da quello che invece è la tradizione scritta.

A mio parere è da considerare veritiera. Riporto come esempio, per mostrare la discrepanza delle due tradizioni, il giorno della cosiddetta “cacciata”: in quella orale la fuga del Duca avviene il 26 luglio, il giorno stesso in cui inizia la rivolta; al contrario le fonti scritte riportano l’uscita di Gualtieri il 6 agosto, dopo 11 giorni di assedio al palazzo ducale e senza parlare di fuga. Il motivo della diversità tra le due versioni è da ricercare nella natura umana, a chi non piace affermare che ha cacciato un tiranno, invece di dichiarare che ha trovato un accordo. C’è di più i vari storici e appassiona che si sono occupati di questa pagina di storia hanno continuato ad avvalorare la tesi orale, salvo alcune rare eccezioni, forse perché così viva nello spirito fiorentino che non se la sono sentita di criticare la consuetudine. Fatto questo inciso vediamo gli avvenimenti di questa pagina fiorentina. La chiamata di Gualtieri rientra in una pratica che non era nuova a Firenze, ovvero l’arrivo di un signore avveniva ogni volta che la città trovava delle forti pressioni nel suo cammino espansionistico per la Toscana da parte di un altro avversario: la discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII indusse il Comune a chiamare come protettore Roberto d’Angiò; le varie scorribande di Castruccio Castracani portarono la città ad offrirsi in signoria a Carlo di Calabria; infine la guerra con Pisa per il controllo di Lucca fece sì che Firenze si affidasse al duca d’Atene.

Il concedersi ad un signore sembra sempre scaturire da un fattore ricorrente, quello della crisi economica del Comune e il conseguente smarrimento della classe dirigente, che trova come unica soluzione quella di deformare il sistema politico chiamando una guida esterna alla quale affidare ogni tipo di potere, sebbene per un periodo limitato di tempo. La scelta di Gualtieri di Brienne non fu casuale: il signore angioino aiutò i fiorentini durante la guerra per la presa di Lucca contro i pisani e sebbene lo scontro finì per favorire la città di Pisa, il duca uscì da questa guerra godendo di fama di valoroso e maestro in guerra; in più i fiorentini restarono delusi del comportamento fiacco tenuto dal Malatesta, al quale era stato affidato il comando del loro esercito. Per questo motivo, alla scadenza del mandato del Malatesta, i fiorentini nominano il duca d’Atene “capitano generale della guerra”, titolo che porta nelle mani di Gualtieri il potere di fare giustizia in città e nel contado. La decisione di nominare Brienne si deve, oltretutto, al fatto che non fosse uno sconosciuto a Firenze: sedici anni prima, nel 1326, si trovava a Firenze in qualità di vicario di Carlo di Calabria e aveva sposato la nipote di re Roberto. Queste credenziali rappresentavano per i fiorentini più di un buon biglietto da visita, in quanto nei mesi della guerra per la conquista di Lucca dovevano affrontare una crisi economica scatenata non solo dalla sempre maggiore domanda di denari fatta dai priori per finanziare la spedizione, ma anche dalla massiccia richiesta da parte dei maggiorenti napoletani di farsi rimborsare il loro denaro depositato presso i banchi fiorentini. A queste problematiche di carattere economico si deve aggiungere quella politica di una probabile guerra tra Firenze e Napoli per via della gelosia di re Roberto: nata quando venne a sapere che i fiorentini, per risolvere la guerra contro i pisani, avevano cercato un patto con il Bavaro, accettando persino di ricevere un vicario imperiale.

L’arrivo di un angioino alla guida della città permetteva ai potenti banchi fiorentini di poter avere un canale privilegiato di dialogo con la corte di Napoli, sia per ampliare i loro guadagni concedendo prestiti ai vari progetti di conquista che la dinastia napoletana aveva messo in atto su vari fronti, sia per poter ottenere la conseguente concessione nel riscuotere vari tipi di decime su tutto il territorio del regno. La figura di Gualtieri metteva d’accordo tutte le componenti sociali fiorentine. Come detto era ben visto dai Grandi Popolani per i legami che portava con sé, ma anche ai Magnati che vedevano nel nuovo signore un loro alleato che li avrebbe riportati al vertice dello Stato e dal popolo minuto che considerava il Duca l’uomo della Provvidenza. Sin da subito il duca svelò di che pasta era fatto, decretando pene severissime e, con molta probabilità, ingiuste; accusò e condannò tutti i comandanti fiorentini del presidio di Lucca, inimicandosi quattro delle maggiori famiglie popolane: Medici, Altoviti, Oricellai e Ricci ; aumentò le tasse e i proventi così accumulati li inviò fuori Firenze. Contemporaneamente cerca il favore popolare, convincendolo che sia finito il periodo dei soprusi da loro subiti. Quando decadono i Venti di balìa al Brienne non basta più il titolo di capitano generale e chiede di essere nominato signore di Firenze, ma in questo primo tempo ottiene solo un netto rifiuto dei priori. Per raggiungere il suo obiettivo tenta di ottenere un consenso nelle classi forti della società fiorentina: promette ai Grandi di mitigare gli Ordinamenti di Giustizia nei loro confronti e ai banchieri di non farli fallire, non costringendoli, una volta salito al potere, a pagare i creditori. I priori iniziano ad avere paura che si possa consumare un colpo di stato e il 7 settembre 1342 si recano dall’angioino per trattare, raggiungendo l’accordo di prolungare la signoria di Gualtieri per un altro anno, alle stesse condizioni che nel 1326 erano state concesse a Carlo di Calabria; in cambio il duca si impegna a tutelare gli Ordinamenti di Giustizia e la libertà del Comune.

Sant’Anna e la cacciata del Duca di Atene

Il giorno successivo, in piazza Santa Croce, tutti gli abitanti si riuniscono per discutere la donazione della signoria a Gualtieri per un altro anno, ma gli uomini del duca, che hanno preparato il terreno fomentando con ogni mezzo la popolazione, riescono a far sì che questa interrompa continuamente le varie orazioni con gridi di adulazione verso Gualtieri, chiedendone la signoria a vita. I priori, messi alle strette, hanno come unica scelta possibile concedere quello che la folla reclama a gran voce e che i soldati del duca, armati di tutto punto, richiedono con le armi. Gualtieri si impossessa subito del Bargello e il capitano del popolo, Guglielmo d’Assisi, si sottomette alla sua autorità, rimanendo ai suoi ordini; al contrario il podestà Meliadolo d’Ascoli rifiuta la conferma alla sua carica e abbandona gli uffici. Per potersi occupare al meglio del consolidamento della sua signoria in Firenze, Gualtieri cerca di non avere distrazioni esterne, intavolando varie trattative di pace con il comune di Pisa e giungendo ben presto a un agevole accordo. Nel frattempo il duca riprende i contatti con re Roberto di Napoli, dal quale riceve consigli su come mantenere il più a lungo possibile la sua signoria. Il sovrano esorta il Brienne a cercare il più vasto consenso possibile, soprattutto legandosi con i Popolani Grassi che governavano Firenze prima del suo arrivo; il re consiglia anche di restituire il palazzo del capitano del Popolo ai priori e di trasferirsi in quello del podestà, palazzo dove aveva risieduto il duca di Calabria quando fu signore di Firenze. Il duca, dopo appena un mese dalla sua nomina a signore e nonostante i consigli giunti dalla corte napoletana, mostra alla città in che modo intende governarla: nomina tra i priori molti membri delle arti minori e in parallelo svilisce sia il ruolo che la reputazione del priorato, ma soprattutto, affianca al giglio, da sempre simbolo della città, il suo stemma e la croce del Popolo.

Decide di fondare la sua signoria sul popolo minuto, andando contro sia i Magnati, che lo avevano aiutato a salire al potere, che i Popolani, rettori del precedente regime che fino ad allora aveva governato Firenze. Naturalmente non si sente sicuro della base che lo appoggia e, conoscendo bene la forza dei grandi casati fiorentini, decide così di iniziare le opere di fortificazione del palazzo dei priori: lo circonda di fossati, mura, barbacani e torri, rendendo il palazzo una fortezza, in più requisisce tutte le case intorno per poter dare alloggio alle truppe a lui fedeli. Il governo del duca continua ad essere sempre più duro, iniquo e crudele e nei fiorentini il malumore è ormai arrivato a livelli molto alti. I Grandi sono continuamente perseguitati, il Popolo e i priori sono completamente privi di potere che il duca concentra nelle sue mani. Inizia così a prendere piede tra i fiorentini l’idea di creare una rivolta che porti alla cacciata del duca, ma quest’ultimo ne viene a conoscenza e riesce a sedarla. In luglio i fiorentini ne hanno abbastanza di questo signore: i Magnati si dolgono perché aspettavano da lui stato e grandezza, come gli era stato promesso; i Popolani che prima erano stati i governanti della città, sono pieni di risentimento perché si sentono annullati; adesso anche il Popolo Minuto ha di che lagnarsi sia per il cattivo stato in cui era tenuta la città, sia per i mancati guadagni, sia per le innumerevoli ed esagerate gabelle e prestanze. Tutta la popolazione, ormai esausta, decide di unire le forze e nomina un nuovo consiglio detto dei Quattordici, composto da sette Magnati e sette Popolani, che avrebbe guidato la città e sarebbe stato capeggiato dal vescovo.

Insegne di Firenze sotto il Duca di Atene

Il 26 Luglio 1343 la città si sveglia colpita da vari tumulti, uno di essi punta sul carcere delle Stinche dal quale libera i prigionieri e brucia parte dei documenti creati dal regime; come secondo obiettivo colpisce la camera del Comune, dove il copione si ripete; infine, giunge al Bargello dove sono liberati gli ultimi prigionieri. Il duca si rinchiude nel palazzo e chiede consiglio ai Priori sul da farsi: questi gli consigliano di cercare un accordo con i rivoltosi, in quanto neanche i soldati hanno intenzione di morire per lui. Gualtieri, trovatosi alle strette, decide di arrendersi e di lasciare la signoria della città, ma avrebbe ratificato il tutto solo quando si sarebbe trovato al sicuro al di fuori del contado fiorentino. Il giorno 6 di agosto il duca lascia la città scortato da soldati senesi e, una volta arrivato fuori dal contado, firma la rinuncia alla signoria su Firenze. Termina così una delle pagine più famose della storia di Firenze.

Autore

Riccardo Mugellini