Chi si sentisse orfano di un libro di riflessione teologico-politica calato nella realtà di questo nostro tempo, scritto in modo esemplarmente chiaro e a tutti accessibile, non dovrebbe perdersi il nuovo saggio di Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, già Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana e Segretario del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. Ecologia integrale, dopo il Coronavirus è un libro originale e propositivo. Originale per il taglio espositivo che l’Autore, come già in altri suoi lavori, è riuscito a confezionare: una combinazione, ben riuscita, di acume teologico, solida preparazione filosofico-politica, speciale attenzione e passione alle problematiche di una pastorale sociale calibrata sulla ecologia integrale.

Propositivo perché questo scritto obbliga a rivedere non pochi dei luoghi comuni intorno a categorie quali quelle di democrazia, libertà, giustizia sociale, sostenibilità. E ciò non sulla base di elucubrazioni astratte, ma a partire – come vuole l’approccio del realismo storico fatto proprio dal Nostro – dai problemi reali che intrigano l’uomo di oggi: la crisi del welfare state; la scarsità crescente di beni relazionali; la insostenibilità del sentiero di crescita finora perseguito, soprattutto in Occidente; la testarda insistenza nel voler trattare i beni comuni – tale è l’ambiente – come se fossero beni privati o beni pubblici. Né poteva essere diversamente, stante l’accoglimento da parte dell’autore del principio teologico secondo cui è la conoscenza a fondare l’amore: l’amore che nasce dal bisogno è gracile; l’amore che nasce dalla conoscenza è sovrabbondante.

Dopo una lucida ed efficace – e perciò utilissima a fini pastorali – rilettura della Laudato Sì, alla luce anche dell’ampio dibattito internazionale suscitato dalla pubblicazione nel 2015 di questo straordinario documento, Toso entra nel merito del suo tema, focalizzando l’attenzione sugli assi portanti della odierna questione ecologica. Primo, la Chiesa si prende cura non solo dell’essere umano, ma anche della natura: “ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (n.49). È in ciò il senso proprio dell’espressione “ecologia integrale”: questione sociale e questione ambientale sono come le due facce di una medesima medaglia e dunque non possono essere trattate disgiuntamente, come è stato fino a tempi recenti, quando antropocentrismo da un lato e ambientalismo estremo dall’altro si contendevano la palma del vincitore.

Secondo, la critica al nuovo paradigma tecnocratico che si è venuto imponendo sulla scia della rivoluzione digitale e alle forme di potere – soprattutto finanziario – che ne sono derivate, occupa un posto centrale in questo saggio. Toso non disconosce affatto i meriti e i vantaggi associati alla nuova traiettoria tecnologica, ma non accetta che questi possano, anche solo in parte, giustificare la rinuncia al principio noto come “human in command”. L’efficienza è bensì un valore, ma di certo non quello supremo. L’efficienza appartiene all’ordine dei mezzi, non a quello dei fini. Di qui l’insistenza dell’autore a guardarsi dai rischi, tutt’altro che virtuali, della “servitù digitale” verso cui ci stanno dirigendo le grandi corporation dell’high-tech.

Terzo, la stretta correlazione, ampiamente documentata, tra inquinamento e diffusione di virus quale l’attuale COVID-19 deve portarci a riflettere sul fatto – scrive Toso – che le epidemie affliggono la società attraverso le vulnerabilità che gli uomini creano per tramite delle loro relazioni con l’ambiente, con le altre specie e tra loro. Il coronavirus si è diffuso nella maniera di cui ora sappiamo perché esso ha trovato il suo fitting (adattamento) nel tipo di società che abbiamo costruito. I virus sono profughi della distruzione ambientale. Di qui l’invito accorato a mutare il modello di crescita fino ad ora adottato.

Quarto, la sostenibilità – un termine ormai inflazionato e dunque a rischio di perdita di valore – va assicurata rispetto a tutte e tre le sue dimensioni: ambientale, economica, culturale. Non solo, ma ciò deve avvenire in modo congiunto, cioè simultaneo. Il che non è affatto semplice. In particolare, la transizione economica che deve essere avviata non può riguardare solamente il passaggio dal modello di economia lineare a quello di economia circolare, ma anche il cambiamento radicale di quelle istituzioni economiche e finanziarie massimamente responsabili dell’aumento endemico delle disuguaglianze sociali. Del pari, la transizione culturale da favorire – avverte Toso – non può limitarsi alla sola denuncia del “meccanismo consumistico compulsivo e del vortice degli acquisti e delle spese superflue” (Laudato sì, n.203), ma deve spingersi fino all’affermazione di un nuovo stile di vita centrato sulla sobrietà. Donde la necessità di porre in atto misure e pratiche (di nudge) che favoriscano tale affermazione.

Il volume si chiude con un capitolo specificamente dedicato ad “Una nuova evangelizzazione del mondo agricolo-rurale”. Toso tocca qui un nervo gravemente scoperto. Poche settimane fa, le Nazioni Unite hanno pubblicato il loro Sustainable Development Goals Report 2020. Vi si legge che solo quest’anno 70 milioni di esseri umani si collocheranno al di sotto della linea di povertà assoluta, un numero questo che andrà ad aggiungersi ai 750 milioni di persone che già soffrono la fame. La situazione è talmente preoccupante che il World Food Program sta predisponendo il più importante intervento mai realizzato finora. Ebbene, leggere con attenzione, alla luce di ciò, queste pagine finali del libro di Toso ci fa comprendere di quanta forza trasformatrice della realtà intorno a noi è capace il Pensiero Sociale Cristiano.

Il fatto della possibilità è sempre la combinazione di due elementi: le opportunità e la speranza. È sbagliato pensare che perché qualcosa possa realizzarsi sia necessario intervenire solamente sul lato delle opportunità, cioè sul lato delle risorse. Quel che è necessario perché la possibilità abbia a realizzarsi è insistere sull’elemento della speranza, che per il cristiano non è mai utopia né il fatalismo di chi si affida alla sorte. Essa si alimenta con la creatività dell’intelligenza politica e con la purezza della passione civile. È la speranza che sprona all’azione e alla intraprendenza, perché colui che è capace di sperare è anche colui che è capace di agire per vincere la paralizzante apatia dell’esistente.

 

Autore

Stefano Zamagni