A similitudine di altre costituzioni europee nate nel dopoguerra, anche la Costituzione del 1948 non presenta espliciti riferimenti all’ambiente per il semplice fatto che all’epoca vi era una sensibilità diversa rispetto a quella degli ultimi lustri. Autorevole dottrina ha correttamente osservato come alcuni articoli che si occupavano di materie alle quali oggi viene riconosciuta un’ampia valenza ambientale, come l’art. 44, riguardante il razionale sfruttamento del sottosuolo, facessero riferimento a «orientamenti volti a promuovere e imporre la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo senza avere consapevolezza riguardo a temi, ora preminenti, come quello della sostenibilità ambientale delle attività umane e quello della conservazione di un equilibrato rapporto fra sviluppo e ambiente».
Durante i lavori dell’Assemblea Costituente non poche furono le difficoltà incontrate da quanti sostenevano norme per la tutela di valori di rilevanza ambientale, successivamente riportati nell’alveo della tutela dell’ambiente lato sensu. Il dibattito costituente sviluppatosi attorno all’articolo 9 della Costituzione è caratterizzato da una miriade di risentimenti ideologico – politici, basati prevalentemente sulla convinzione della superfluità e addirittura inutilità di una previsione costituzionale da porre a tutela del paesaggio.

La circostanza quindi che nel nostro ordinamento giuridico non si rilevi un compiuto status costituzionale dell’ambiente non può certamente addebitarsi ai padri costituenti, ma piuttosto all’incapacità che negli anni a venire l’ordinamento giuridico ha palesato nel non riuscire a completare una riforma sistematica dell’impianto costituzionale, con cui riuscire ad assegnare all’ambiente quel valore dimostratosi sempre più necessario ed impellente.

È grazie alla dottrina ed alla giurisprudenza se attualmente nel panorama giuridico è possibile rinvenire un inquadramento, seppur parziale, della materia ambientale. Si prendono le prime mosse dapprima dal citato art. 9 Cost., il cui comma secondo individua «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione» tra i compiti assegnati alla Repubblica. Di primo acchito quindi l’ambiente assume costituzionalmente la veste di “paesaggio”, dovendosi intendere, secondo il Predieri, «la forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata, in modo intensivo o estensivo, nella città o nella campagna, che agisce sul suolo, che produce segni nella sua cultura».

Con questa nozione di paesaggio si ricomprendono pertanto da un lato «ogni preesistenza naturale, l’intero territorio, la flora e la fauna»; dall’altro «ogni intervento umano che operi nel divenire del paesaggio qualunque possa essere l’area in cui viene svolto». E’ in questo contesto dottrinario che la nozione di paesaggio esprimerebbe una sorta di “volontà giuridica” ad aggregare nel suo significato non solo latamente la disciplina urbanistica, ma anche la nozione giuridica di ambiente.

L’interpretazione estensiva operata dal Giudice delle leggi della nozione di paesaggio merita di essere tenuta sempre in considerazione proprio perché ha avuto (e continua ad avere, anche e soprattutto alla luce del chiaro ed inequivocabile risultato referendario!) la capacità di intercettare quell’evoluzione culturale ed istituzionale che negli anni ha caratterizzato l’ordinamento italiano, assorbendo tralatiziamente l’altrettanto rilevante nozione di governo del territorio.

Secondo la Consulta, il paesaggio assume rilevanza nel senso di intenderlo quale valore estetico – culturale, la cui tutela non può realisticamente essere concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un dato momento ma, a contrariis, deve attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio – economico del paese per quanto la soddisfazione di esse possa incidere sul territorio e sull’ambiente (Corte Cost., sentenza n. 4 del 1985). La nozione estensiva di paesaggio come «forma del paese» può costituire, ad avviso della Consulta, un elemento o un momento della tutela ambientale, ma non può esaurirla, né risolvere il problema dello status costituzionale ambientale ut supra accennato. In extrema ratio, «la tutela paesaggistica come quella ambientale o come quella urbanistica possono riguardare gli stessi oggetti … ma diverse sono le finalità in relazione alle quali lo stesso oggetto viene riguardato, e le finalità paesaggistiche costituiscono una parte delle finalità di tipo ambientale».

L’art. 32 della Costituzione affida alla Repubblica la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il rapporto instaurantesi tra l’ambiente e la salute si caratterizzerebbe per la complementarietà, poiché esisterebbe, secondo l’ermeneutica mortatiana, l’intrinseco presupposto del mantenimento di una salubrità ambientale tale da garantire l’integrità fisica e la vita degli individui. Nel momento in cui il rapporto ambiente – salute viene messo a repentaglio, tale assioma ermeneutico «esprime una reazione» nella prospettiva di tutela successiva e riparatoria.

Questo orientamento ha trovato conferme a partire dagli anni Settanta, sia nella dottrina, sia nella giurisprudenza venendo ad emergere la corrispondenza di interessi connessi ad ambiente e salute nell’ottica dell’integrità fisica dell’individuo. Sulla stessa medaglia è stato inciso un diritto soggettivo ed un diritto collettivo all’ambiente salubre. Il Comporti inquadra il diritto dell’ambiente fra i diritti della personalità, collocandolo con il diritto alla salute tra i diritti fondamentali ed inviolabili dell’uomo, sostenendo altresì la compatibilità tra concezione del diritto soggettivo dell’ambiente e la concezione oggettiva del bene ambiente sotto il profilo dell’interesse generale della collettività: «Anche nella tutela dell’ambiente, dunque, può bene evidenziarsi, senza alcuna contrapposizione o contrasto, questo duplice profilo di qualificazione del bene, ora come oggetto di un diritto soggettivo fondamentale dell’uomo, che potrà essere garantito dalle azioni consentite al soggetto, ora come oggetto di protezione da parte dei pubblici poteri, sia sotto l’aspetto amministrativo che sotto quello penale».

La necessità di creare istituti giuridici specifici per la protezione dell’ambiente è stata ulteriormente rimarcata dalla Corte Costituzionale, la quale, nelle sentenze n. 210 e 640 del 1987, ha sentenziato partendo da un approccio soggettivo del diritto all’ambiente salubre. Con l’affermazione della unitarietà del bene ambiente, a cui ha peraltro connesso la necessità della tutela della salute in tutte le condizioni in cui si svolge la vita di ogni persona, il Giudice delle leggi ha rilevato che l’ordinamento tutela l’ambiente come elemento determinativo della vita e come «valore primario assoluto (Corte Cost., sentenza n. 127 del 1990)».

Ciò posto non vale tuttavia a dare definitività al rapporto ambiente – salute, così come è stato inquadrato da dottrina e giurisprudenza, in quanto, si rimane vincolati all’inquadramento come situazione giuridica soggettiva accessoria della tutela ambientale. Tra l’altro è in grado di ampliare orizzonti della tutela sanitaria in considerazione dell’evoluzione europea del diritto dell’ambiente, in specie per quanto concerne l’attuazione del principio di precauzione.

L’opportunità di prevedere un intervento normativo, indipendentemente dall’effettività di un danno e dalla disponibilità di un supporto scientifico circa la dannosità di un’attività, è certamente prodromica all’esercizio di un’azione più efficacie sotto l’aspetto precauzionale a tutela della salute in una logica preventiva. Proprio attraverso l’approccio e la tutela precauzionale è stato creato un sistema giuridico di protezione/tutela di più ampia portata rispetto al tradizionale diritto alla salute, venendosi in tal modo a consolidare definitivamente ciò che è stata individuata come «dimensione sociale dell’ambiente».

La Riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta con l’adozione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, dopo molti anni di dibattiti e di proposte, tra le molte criticità, ha però avuto il merito di aver inserito nel nuovo art. 117 Cost. la parola “ambiente”. Tra le materie assegnate a titolo esclusivo dal legislatore alla competenza dello Stato, nell’elenco di cui al comma 2 del citato articolo, vengono specificate: «la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali»; mentre a titolo concorrente alle Regioni vengono assegnate: «valorizzazione dei beni ambientali e culturali».

L’inserimento della materia ambientale tanto nella legislazione esclusiva statale, quanto nella legislazione concorrente tra Stato e Regioni, pur in un peculiare trittico con quelle relative all’ecosistema ed ai beni ambientali, ne ha senza dubbio rafforzato lo status costituzionale, benché tale processo sia avvenuto in via indiretta ed incompleta. In dottrina, successivamente alla modificazione del Titolo V della Costituzione ad opera della supra richiamata legge costituzionale, autorevoli giuristi sono concordi nel ritenere più corretto parlare di “Repubblica delle autonomie”, essendo stato operato un forte ridimensionamento del ruolo statale a vantaggio di una forma di regionalismo, senza dubbio matura, in linea con la diffusa tendenza europea riconducibile nella specificazione del ruolo delle istituzioni regionali e locali.

Rimane tuttavia il vulnus, non compensato dal riparto delle competenze, prodotto da una «costituzionalizzazione indiretta», per lo più ancora incompleta dell’ambiente, non potendosi registrare una definizione chiara del termine ambiente o, almeno, dei suoi contenuti, nonché il problema della sua collocazione all’interno della scala dei valori della Costituzione. Prima dell’entrata in vigore (8 novembre 2001) della Legge Costituzionale n.3 del 2001, la protezione dell’ambiente è stata prevalentemente nelle mani del Giudice delle leggi che, con il fondamentale supporto della dottrina, aveva individuato negli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione, alcune situazioni giuridiche soggettive per arrivare alla successiva affermazione dell’ambiente come «valore costituzionale».

Il principio personalistico di tradizione cristiano – cattolica di cui all’art. 2 della Costituzione, manifestatosi sotto forma di aggregato giuridico dei «diritti della personalità», è stato spesso preso in esame dalla dottrina per postulare l’esistenza di un diritto soggettivo all’ambiente, riscuotendone però scarsa applicazione a livello giurisprudenziale. L’art. 9, invece, che attiene come è noto alla “tutela del paesaggio”, è stato piuttosto utilizzato come elemento di giustificazione dell’imposizione di vincoli ambientali, pur non essendo stato dotato di una cogenza tale da poter permettere la collocazione delle materie riconducibili all’ambiente, né, ancor meno, per riuscire ad affermare un diritto all’ambiente.

Inoltre, l’art. 32 Cost. riguardante la tutela della salute può costituire una piattaforma su cui installare la tutela di un diritto soggettivo all’ambiente salubre, pur con l’inequivocabile limite dell’applicazione esclusiva a quei casi di tutela dell’ambiente coincidenti con quelli della tutela della salute umana. La riforma della “Repubblica delle autonomie” del 2001, pur nelle intenzioni, non è tuttavia riuscita ad offrire grandi prospettive né per ciò che attiene la definizione del termine ambiente e del suo significato giuridico, né a favore dell’affermazione in via diretta di un diritto soggettivo all’ambiente.

Oggettivamente, è senz’altro ascrivibile ad essa il merito di essere riuscita, come si è supra evidenziato, ad inserire, attraverso l’inclusione di una materia nuova fra le competenze di Stato e Regioni, un obbligo dell’ordinamento alla tutela dell’ambiente idoneo comunque a rafforzare la già consolidata teoria che sostiene la costituzionalità valoriale dell’ambiente (ambiente come valore costituzionale). La lettura dell’art. 117 Cost. e la sua interpretazione sistematica devono necessariamente essere esegeticamente rapportate alle altre norme costituzionali. Il nuovo assetto ha individuato tre settori di competenza legislativa: esclusivo dello Stato (lista di materie statali), concorrente fra Stato e Regioni, e residuale in capo alle Regioni, le quali possono autonomamente legiferare in tutte quelle materie non contenute nelle due liste succitate.

La materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato; la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” è invece assegnata alla legislazione concorrente fra Stato e Regioni. Il problema inziale sorto in dottrina, e non solo, circa le materie assegnate all’esclusiva competenza dello Stato e a quella concorrente Stato – Regioni che vedeva, tra l’altro, accese critiche fino al punto di denunciare «un preoccupante centralismo ambientale» a discapito degli importanti passi in avanti compiuti nell’ottica marcatamente federalista che aveva visto la nascita di “sistemi regionali di tutela dell’ambiente”, identificabili nella creazione di istituti quali la Valutazione di impatto ambientale regionale, le Agenzie regionali per l’ambiente, con competenza per quanto riguarda i controlli ambientali, i parchi naturali regionali, anche in questo caso ha trovato una soluzione nella giurisprudenza costituzionale.

La Consulta, con la sentenza 104 del 2008, ha ridimensionato anche la lettura che veniva data dei termini “ambiente” ed “ecosistema” come biosfera, nel senso in cui questa nozione viene utilizzata nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972. Per «ambiente ed ecosistema» deve intendersi quella parte della biosfera che riguarda l’intero territorio nazionale. A tal proposito, appaiono utili gli orientamenti del giudice delle leggi, con i quali, operando un revirement giurisprudenziale, ha sottolineato come sia «evidente che sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti la fruizione del territorio, che sono affidati alle competenze regionali, concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali».

Oggetto della tutela non è quindi soltanto il concetto astratto di “bellezze naturali”, ma l’insieme dei beni materiali e delle loro composizioni, che conferiscono un certo aspetto al paesaggio. La tutela ambientale e paesaggistica precede la fruizione del territorio, costituendo nel contempo un limite ad essa, per cui la competenza affidata in via esclusiva allo Stato centrale serve a delimitare i confini entro i quali può avvenire tale fruizione. Per contro, le Regioni, nell’esercitare le loro competenze in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali, devono assicurare che la fruizione avvenga entro i limiti prescritti a livello nazionale.

Per la Corte Costituzionale, l’ambiente non deve essere considerato come «bene immateriale», ma un «bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende la tutela e la salvaguardia della qualità e degli equilibri delle sue singole componenti». Ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, spetta, inevitabilmente allo Stato disciplinare l’ambiente come «entità organica», nella consapevolezza che accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici che, pur avendo ad oggetto aspetti del bene ambiente, riguardano interessi giuridici diversi.

Occorre ancora evidenziare il ragionamento giurisprudenziale seguito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 378 del 2007, nel quale i giudici hanno considerato la materia esattamente come l’oggetto della tutela giuridica, superando il vecchio orientamento secondo cui la “materia” costituiva un complesso normativo agglomeratosi attorno ad uno specifico interesse pubblico. Indirizzo che peraltro ha trovato conferma nella sentenza n. 105 del 2008 in materia di boschi e foreste, rispetto al quale è stata individuata, oltre alla funzione economico – produttiva, una più importante «multifunzionalità ambientale».

Sullo stesso bene della vita – boschi e foreste – insistono due distinti beni giuridici: il primo legato alla multifunzionalità ambientale del bosco, un secondo, invece, che fa riferimento alla sua funzione economico produttiva. Sulla base di questa fisionomia, pertanto, è inevitabile che la competenza regionale in materia di boschi e foreste (con riferimento alla funzione economico produttiva) incontri dei «limiti invalicabili» posti dallo Stato a tutela dell’ambiente e che, dunque, una tale funzione possa essere esercitata nella misura in cui verrà rispettata ed «assicurata la sostenibilità degli ecosistemi forestali». Ulteriore conferma (e non solo) si riscontra ancora nella sentenza n. 61 del 2009, la quale, occupandosi di rifiuti, ha ribadito che le Regioni devono rispettare la normativa statale relativa alla tutela dell’ambiente, potendo, nell’esercizio delle competenze loro affidate (si pensi alla salute), disporre livelli di tutela più elevati.

Secondo un’autorevole dottrina, peraltro condivisa e stabilizzatasi anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, la tutela dell’ambiente ha un contenuto «oggettivo», in quanto riferito ad un bene della vita, e «finalistico», perché diretto alla sua migliore conservazione; sullo stesso «bene della vita» concorrono diverse competenze che restano distinte tra loro e sono chiamate a perseguire autonomamente le loro finalità attraverso la previsione di distinte discipline giuridiche, statali o regionali. La competenza statale, quando è espressione della tutela dell’ambiente, costituisce un vero e proprio limite all’esercizio delle competenze regionali.

Le Regioni, purché restino nell’ambito dell’esercizio delle competenze loro attribuite, possono pervenire a livelli di tutela più elevati incidendo alla fine però solo in modo riflesso e indiretto sulla tutela dell’ambiente. Appiano quindi superate o superabili quelle formule astratte di «intreccio o incrocio inestricabile di competenze», e di conseguenza auspicabile l’utilizzo, ai fini dell’interpretazione dell’art. 117 Cost., del concetto di «concorso» di più competenze, statali e regionali, sullo stesso oggetto o materia, per un ambiente che è di tutti e per tutti.

 

Autore

Franco Lucchesi