Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli nasconde un tesoro di inestimabile bellezza, e al suo interno è possibile fare un itinerario equestre di tutto rispetto, attraversando l’antichità e giungere inaspettatamente al rinascimento. L’edificio rettangolare, in stile neo rinascimentale, dai contorni in pietra piperina e l’intonaco scarlatto tipicamente partenopeo, ha una mole impressionante, incute timore e per certi versi, nonostante l’eleganza d’un tempo, oggi non invoglia molto a essere visitato. Eppure alcune opere contenute al suo interno sono così famose che non c’è persona al mondo che non l’abbia vista almeno una volta sui libri di storia e di storia dell’arte, e non sto esagerando.

Tralascio la tauromachia che è il più grande assieme di sculture in marmo dell’antichità e che da sola potrebbe essere il cuore del museo. Questo però potrebbe far torto al mosaico della battaglia di Isso dal valore culturale e storico inestimabile. E così la collezione Farnese di sculture romane, alcune di grandezza esorbitante, fra le quali spiccano l’Ercole farnese, come anche l’Apollo, entrambi relegati in un’ala significativa del palazzo, ma privi di quell’ambientazione che dovrebbero meritare. Impressionante l’enorme numero di sculture in marmo, non solo posizionate al piano terra, nelle aule principali, ma anche in quelle secondarie, nei reliquati, e finanche nel corridoio delle toilettes, o davanti agli ascensori, tanto che si può dare la mano ad Augusto e salutare Valero più o meno ovunque. E’ indubbio che se Paul Getty avesse potuto comprarle lo avrebbe fatto per realizzare un museo solo per le versioni degli imperatori e dei loro parenti, che nel corridoio d’ingresso sono in bella mostra. Questi infatti sono tutti forgiati in bronzo, e da soli potrebbero essere una scuola di come si fonde questo prezioso metallo, assieme alle sculture trovate nella villa di Ercolano che sono al piano superiore assieme ai due celebri corridori.

Ma si diceva dei cavalli! Eh già proprio quelli. Per chi è interessato l’itinerario dovrebbe essere il seguente. Per avere un andamento cronologico, sarebbe meglio che si coprisse gli occhi per non guardare il corridoio d’ingresso, cosa che farà al termine del suo viaggio. Potrà recarsi in tal modo immediatamente al primo piano, dove bisogna entrare con appositi copriscarpe che preservano i mosaici di epoca pompeiana, che adornano i pavimenti delle numerose sale. Lì potrà trovare i primi reperti, di sconvolgente bellezza, dai vasi attici con scene di caccia, e battaglie omeriche, con racconti mitologici di vario tipo, dove non mancano né bighe, né carri, né pegaso né cavalli celebri dipinti con elegante bravura. Tutti reperti trovati in Italia e chissà quanti ancora ne esistono sotto terra che attendono il paziente lavoro dell’archeologo.

Accanto a questi non mancano schinieri, ed elmi, sempre di origine greco-romana, in bronzo e splendidi paramuso per cavalli, con collari parapetto, accanto a quelli per il cavaliere, che per certi versi sono meno interessanti dei primi. Lì vicino non mancano delle uniche e rarissime coppe a forma di zoccolo e di muso di cavallo, che un qualsiasi museo nel mondo non avrebbe minimamente esitato a replicare per farne un souvenir, ben più interessante del classicissimo e adorabile Pulcinella, che oramai ha un po’ stancato. Uscito da quest’ala, si potrà poi ammirare nel grande salone del piano superiore un cavallo marino del tutto inimmaginabile se non lo si vedesse con i propri occhi, in quanto ha il muso di coccodrillo, il corpo per metà equino e per metà pesce, cavalcato da una nereide. Un esempio di cavallo terrestre che si trasforma in acquatile.

Così, per non rimanere troppo tempo senza distogliere lo sguardo dal mondo equestre si può andare con una certa speditezza verso le sale degli affreschi pompeiani, dove troverà a un certo punto del cammino un ritratto equestre forse di Pompeo o di Valero, (e dico forse perchè mancava la didascalia), interamente in bronzo, nella stessa posa del Marco Aurelio di Roma, ma in scala più ridotta. Quest’opera, che non ha eccessive pretese, non ha però nemmeno nulla da invidiare al ritratto dell’Imperatore romano, se non la grandezza e la celebrità e cosa più interessante di tutte, è smontata. Inoltre è anche posata al piano del pavimento, su un basamento provvisorio in legno, come d’altra parte moltissime statue del museo. Questa cosa che dal punto di vista scenografico e museale sarebbe inaccettabile, da quello turistico lo trovo perfetto, in quanto la scultura è visibile ad “altezza uomo” e proprio per il fatto che è smontata, è possibile ammirare ogni più piccolo dettaglio come le saldature e la struttura interna, una vera e propria gioia per chi ama queste cose.

La visita potrebbe terminare qui, ma a Napoli, tutto può succedere, come sempre, così suggerisco di andare al mezzanino dove ci sono i mosaici. Si tratta di una piccola ala in cui si potrà trovare un gigantesco campionario di mosaici di rara perfezione realizzati con una tecnica a tessere microscopiche, della dimensione di pochi millimetri ognuna, se dicessi da uno a due millimetri non sbaglierei affatto. I temi sono svariati, ma per chi ama il genere animalier potrà trovare tigri e leoni, ma anche teatro e danze, (anche queste famosissime, e chevelodicoafare!?). Finchè al fin del cammino si giunge al celebre e già citato mosaico della battaglia di Isso, con un campionario di cavalli in varie pose e addobbati con finimenti interessantissimi, che l’appassionato troverà unici. A questo punto si può scendere e finalmente ammirare l’ultimo dei cavalli, il meno probabile e anche il più singolare, ovvero la testa del cavallo per il monumento ad Alfonso d’Aragona il Magnanimo, realizzato da Donatello, che fu spedita da Firenze a Napoli nel XV secolo e che lo scultore non completò mai.

 

Autore

Fabrizio Orsini